Beste hizkuntzetako lanen zerrenda

  Traduzione: Roberta Gozzi

 

 

 

—1—

 

Txiki non ha potuto ricevere l'abbraccio di tutti i tuoi compagni fucilati contro il muro della fortezza di Montjuich. Avrebbero dovuto fucilare anche lui in quel luogo, ma nel frattempo il castello era stato trasformato in un museo. Un museo in cui non è certo conservata la storia: uniformi, fucili, pezzi di artiglieria, soldatini di piombo riempiono sale ripulite e preparate per i turisti nella Piazza D'Armi. Queste sale non recano alcuna traccia del loro essere state gattabuie per prigionieri, niente catene, ceppi, garrota, rogo. Nemmeno nelle planimetrie appaiono le celle. Quello che gli abitanti di Barcellona chiamavano il castello maledetto non ha memoria della tortura. Ci sono targhe commemorative, ma in nessuna si dà notizia delle fucilazioni. Il castello attrae pochi turisti, la maggioranza scatta fotografie agli impianti olimpici che stanno ai suoi piedi. Lì, in un posto chiamato la Lingua della Serpe, furono fucilati socialisti, repubblicani, anarchici, patrioti baschi, massoni, coppie di genitori atei che non avevano voluto battezzare i figli. L'ultima volta che l'ho visitato avevano collocato dei bersagli perché i tiratori olimpici potessero allenarsi; forse qualcuno di loro sapeva in che luogo si trovava e forse questo li esaltava. Ai piedi del castello maledetto che non siete riusciti a distruggere, nel Moll de la Fusta, nelle spianate che circondano la scultura dedicata al poeta Salvat-Papasseit, dove sono solito passeggiare prima di incontrarmi con il comitato di solidarietà con i prigionieri baschi di Barcellona, riesco a vedere un vescovo obeso che, da un palco di fronte alla nave da carico Cataluña, grida alle truppe che si imbarcano per andare a difendere la Cuba spagnola: «Onore a voi che avete il coraggio di difendere la Patria su quell'isola lontana, sarete sempre presenti nelle mie preghiere». Si rivolge ai giovani allineati che lo ascoltano stretti nelle loro uniformi, inebetiti, il Mauser nuovo sulla spalla, incapaci di cogliere il cinismo delle sue parole. Quel giorno, quando soldati, ufficiali, agenti della Guardia Civil e spettatori si erano inginocchiati per ricevere la benedizione, un uomo, un giovane che successivamente la polizia avrebbe identificato come barbuto, aveva aperto un piccolo sacco che teneva nascosto e gettato in aria manciate di foglietti che il vento avrebbe fatto ricadere sulle spalle degli spettatori, sulle decorazioni dei soldati, sulle spade degli ufficiali, sui paramenti dorati del vescovo.

        «Soldato, non t'imbarcare!»

        «I ricchi non vanno alla guerra!»

        «Ribellati ai tuoi ufficiali!»

        Si erano sentiti alcuni colpi dall'altra parte, o per lo meno sembravano spari, e varie grida qua e là, gente che urlava. La massa degli spettatori si era alzata tremando: erano giovani alberi agitati dal vento, avrebbero voluto muoversi ma erano prigionieri gli uni degli altri, come se fossero incatenati tra loro. Quando gli agenti si erano resi conto di quanto successo, gli agitatori si erano ormai dileguati tra le viuzze della Barceloneta.

 

 

Il tram, per affrontare una curva, rallenta. Ne approfitti per scendere. Ti incammini verso le Ramblas con la giacca ripiegata sul braccio, le mani in tasca. Hai visto Tomaso da lontano, ti aspetta nel posto concordato, sta soffiando su un accendino. Ti dirigi verso di lui mentre accende la sigaretta. Fa finta di non vederti e, mentre ti avvicini, gli occhi puntati sulle tue scarpe di corda, esclama:

        — Ho avuto il vescovo a portata di mano!

        Si alza e ti dà un'amichevole pacca sulla spalla.

        — La prossima volta ci risponderanno a fucilate! Ci meritiamo una birra!

        — No —è la tua immediata risposta— vorrei passare da casa prima di andare alla sede.

        — Ti accompagno!

        Il tuo amico è eccitato dalla felicità.

        — E' andato tutto bene, abbiamo riempito il porto di volantini.

        — Ti è stato facile scappare? Ho visto che ti seguivano.

        Tomaso abbozza un sorriso d'orgoglio. Ti mostra una barba finta senza tirarla fuori completamente dalla tasca. Anche a te scappa una mezza risata.

        — Ma non è sufficiente. Dovremmo fare qualcosa di più incisivo.

        Non replichi e, rallentando il passo:

        — Per esempio?

        — Dovremmo lanciare un confetto del signor Orsini, dovremmo ucciderne una dozzina, come ha fatto Salvatore nel Liceu.

        Il sorriso non ancora spento sulle labbra, ribatti:

        — Hai distribuito il volantino ma sembra che tu non l'abbia letto. Quelli che vanno a Cuba sono figli del popolo, i borghesi hanno denaro sufficiente per evitare di andarci. Lasciali ai ribelli, loro li uccideranno con più diritto di noi.

        — Dobbiamo lanciare un messaggio. Sono accecati, le marce militari e i discorsi li confondono, non vedono i reduci di Cuba che chiedono la carità agli angoli delle strade.

        Continui a guardarti le dita, ti dà fastidio l'inchiostro sotto le unghie.

        — Nessuno pensa di essere già stato condannato da una pallottola.

        — Siamo noi a dovergli far vedere il sangue!

        — Salvatore ha ammazzato alcuni borghesi, ma il Liceu è ancora lì. È meglio affondare la nave.

        — Sì, con tutti dentro! Ma non hai visto come si imbarcano contenti, cantando sulla passerella, con la medaglia della Vergine di Guadalupe sul petto!

        Avevi voluto concludere la conversazione con ironia:

        — In hoc signo vinces, Tomaso...!

        Ma il tuo compagno è inquieto, parla sempre più velocemente, passando dalla tua destra alla tua sinistra.

        — Quando indossano l'uniforme non sono più figli del popolo, come dici tu. Sono servi della borghesia! Agenti del colonialismo!

        Non rispondi, sembra che tu gli dia ragione più per noia che per mancanza di argomenti. Questo è ciò che vuoi dimostrargli, sbadigliando vistosamente. Che il tuo amico l'abbia interpretato così o no, sta di fatto che Tomaso cambia argomento.

        — È stata un'ottima idea mettere il nome di quella tipografia di Parigi sui volantini.

        — Non ci crederanno, ma almeno li terrà occupati per un po'.

        — I caratteri non erano quelli della vostra macchina, vero?

        Indossata lentamente la giacca, l'allacci e alzi il bavero.

        — Tomaso... è meglio che tu non ti faccia più vedere in tipografia.

        Vi separate, uno ad ogni lato della strada per lasciare passare il carro della spazzatura. Prosegui sul marciapiede, per girare a sinistra al primo vicolo. Tomaso ti raggiunge e, calzate per bene le scarpe di corda sui talloni, quasi saltando, con la mano ti obbliga a fermarti. Ti parla nervoso:

        — Malgrado tu non ci creda, qui si sa tutto, Giuseppe. Non ho bisogno di venire in tipografia per sapere che vai a letto con la moglie di Grau. Ma per me puoi stare tranquillo, io so mantenere i segreti.

        E si allontana senza aspettare una risposta, in modo che tu possa vedere chiaramente che se ne va arrabbiato, a passo sostenuto, addolorato per la poca discrezione di cui tu, un amico, sembri crederlo capace.

        Quel Giuseppe Santo, tipografo che vive a Barcellona, lancia una bestemmia nel bel mezzo di Via Robadors.

        — Posso consolarti a buon prezzo...! —gli sussurra dolcemente una una donna da un portene buio.

 

 

Mentre ti apri la strada tra bluse e pantaloni appena lavati, dalla cucina senti la voce di Dolors che ti chiama.

        — Sei tu, Jaume?

        Non le rispondi ma appari avvolto negli abiti, sforzandoti di fare i movimenti più impacciati. Dolors sta stirando, sta sempre stirando.

        — Sì, sporcameli, poi ci pensi tu a ripulirli.

        Appoggia il ferro da stiro sulla stufa della cucina per scaldarlo e ti prende le mani che offri tra i vestiti stropicciati. Se le porta alle labbra e ne assapora a lungo l'odore.

        — Un giorno o l'altro mi sporcherò d'inchiostro anche la bocca —le sollevi la testa liberando le mani, ti impadronisci delle sue labbra. In quel bacio cadono a terra gli abiti in cui sei avvolto. Dolors infila le braccia sotto la tua giacca, stringe il suo corpo contro il tuo.

        — Dove hai preso tanti vestiti?

        — Adesso stiro anche quelli della fabbrica Moritz. Cinque pesetas al mese.

        — Ma passerai tutta la vita a stirare?

        — Fra un po' non sarò più costretta ad affittare camere agli estranei!' —e senza prestare attenzione all'ironia di Dolors ti togli la giacca, impugni il ferro e inizi a stirare; hai l'abitudine di farlo, fin da bambino.

        La donna tira fuori uno sgabello da sotto i vestiti, si siede. Resta a guardarti, in silenzio. Sente un'intimità più profonda della nudità, una pienezza che non conosce con suo marito, vedendoti così felice di svolgere umili lavori domestici. Presto il vapore ti appannerà gli occhiali. Te li sfilerai con attenzione e li darai a lei affinché li appoggi da qualche parte, poi ti accarezzerà il rossore che il metallo lascia sul tuo naso.

        — Conosci Tomaso il panettiere, vero? —chiedi senza guardarla, mentre schiacci una piega.

        — Sì, ha lavorato con Jaume, quando vivevamo a San Martin di Provençals. A volte lo incontro alla sede.

        — Mi ha detto che posso stare tranquillo, che lui non dirà a Grau che vado a letto con sua moglie, proprio così mi ha detto —confessi cercando un tono frivolo.

        Dolors si alza. Prende un mucchio di grembiuli stirati che aveva posato vicino al lavatoio e si allontana per il corridoio. Con i vestiti stirati sulle braccia, la segui fino alla stanza buia dove tiene le ceste dei clienti.

        — Non mi piace per niente quel tipo —ti dice seria, mentre sistema i grembiuli nelle ceste.

        — A te piacciono solo quelli belli.

        Dolors non ride.

        — Vi conoscevate già in Italia?

        — No... non credo. Per lo meno io non lo conoscevo. Quello deve essere nato qui, non parla bene l'italiano.

        — È bravo a fingere, non fidarti.

        — Lo detesti, ma è una brava persona. Un po' ficcanaso...

        Anche tu ti metti in ginocchio, apri un cesto e cominci a metterci i panni alla rinfusa, per provocare Dolors.

        — Oggi sei venuto tardi, non abbiamo tempo per i giochi. Non ho ancora preparato la cena e fra poco arriverà Jaume con il bambino.

        — Stirerò io, tu prepara la cena —cerchi di baciarla, ma Dolors si tira indietro, seria.

        — Non voglio che Jaume ti veda stirare.

        — Perché no?

        — Non lo so... Credo che si offenderebbe, è come se ti ponessi ad esempio.

        Togli di nuovo i vestiti che avevi malamente riposto e cerchi di aiutare la donna passandoglieli in mano.

        — Domani vai alla sede, Dolors?

        — Il bambino vuole andare al Tibidabo, ma lo spettacolo teatrale di mezzogiorno non me lo perdo!

        — Volevo chiederti di non andarci.

        — Perché?

        — Tu non vuoi che Jaume mi veda stirare. Io non voglio che tu mi veda recitare.

        — E non mi hai detto niente! Stai facendo le prove tutti i giorni e non mi hai detto niente! Credevo che ti fossi trovato un'amante!

        Comincia a colpirti sulla schiena con un coperchio di vimini. Senza difenderti dall'attacco, confessi umilmente:

        — Morirò di vergogna se ti vedo. Non dovevo accettare la parte, è lunga, non ho imparato bene a memoria tutte le battute...

        Dolors ti prende le mani lasciando cadere il coperchio. Non le porta al naso per sentire l'odore di inchiostro che tanto le piace. Le stringe contro il suo ventre rotondo, schiacciandole con le sue. Le tiene così a lungo, offrendoti lo splendore dei suoi occhi.

        — Non può essere vero... —mormori con la voce rotta.

        — Vorrei che fosse tuo —ti sembra che Dolors parli molto chiaro, molto tranquilla, molto sicura.

        — Vuoi che io sia il padre?

        Ti penti, ma Dolors non la prende come un'offesa.

        — No, intendevo solo dire che vorrei che fosse frutto della nostra storia —ma la voce della donna tradisce una triste rassegnazione.

        Rimani senza sapere che cosa dire. Alla fine, emozionato, parli in modo così sincero come non parlavi da tempo.

        — Non mi avevano mai dimostrato tanto amore.

        Le tue mani rimangono sul suo ventre; malgrado Dolors allontani le sue, senti ancora il loro calore.

        — Te lo dico sul serio, Lilio —ti confessa la donna, alzandosi.

        Le tue mani scivolano lungo i suoi fianchi. Dolors torna in cucina. Rimasto solo nella penombra, in mezzo alle ceste che tante volte avete rovesciato nei vostri giochi d'amore, prendi il coltellino e cominci a pulirti le unghie, seduto tra i panni. E' un'abitudine che dovevi al mestiere e che, col passare del tempo, è diventata un gesto indispensabile per riuscire a concentrarti.

 

 

 

© Koldo Izagirre
© Traduzione: Roberta Gozzi


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