Beste hizkuntzetako lanen zerrenda

  Traduzione: Roberta Gozzi

 

 

 

E di lì a poco, oggi

 

— Mi resi conto di quanto fosse facile solo dopo averlo fatto. Comunque decisi di agire, ecco, e in quel momento finirono tutte le preoccupazioni. Avevo paura di quel primo passo ma ci pensavo e ripensavo spesso.

        Floren estrae un fazzoletto di tela dalla tasca e si asciuga la fronte. Suo nipote gli risponde tra il preoccupato e il rispettoso, seduto per terra, posizione da indiano, le gambe incrociate come gli ordinava di fare la maestra quando erano piccoli. Il nonno gli gira la schiena e va avanti con i lavori del giardino, mentre continua a parlare.

        — Agire e fuggire, tutto lì, semplice e veloce — rimane a guardare il nipote, e con enfasi aggiunge: — Comunque bisognava farlo.

        C'è afa a Miarritz. È agosto.

        Manex si avvicina al nonno per sentire meglio le sue parole. Il vecchio gli parla mentre resta inginocchiato, rimuove la terra, per piantarci un albero. Ha ragione, il primo passo è il più difficile. E guardare il nonno con le mani immerse nella terra umida lo tranquillizza.

        — Dammi retta, Manex, il primo passo è il più duro. Gli altri poi, vengono da soli, vedrai. Bisogna essere coraggiosi e fare quel primo passo. Il resto viene da sé, detto e fatto, come direbbero al mio paese.

        — Quando mi porti al tuo paese, nonno?

        — Quando i conigli andranno in bicicletta.

        Manex ride e abbassa lo sguardo. Sposta la sua attenzione su una coccinella che si sta facendo strada in mezzo all'erba. Il nonno ha ragione. Agire e basta.

        Il vecchio si asciuga la fronte e si siede vicino a Manex, su una sedia di plastica. Con la punta di un rametto si toglie la terra da sotto le unghie e si mette ad ascoltare. Ma Menex non dice niente. Continua a guardare la coccinella, non c'è niente di cui continuare a parlare. Il nonno ha ragione.

        Ricorda la primavera del '37. Non riesce ancora a riportarla alla mente senza provare dolore. O forse non vuole riportarla alla mente senza provare dolore. Questo dolore è l'unica cosa che gli resta di Manuel. Forse perché non l'ha mai raccontato a nessuno, forse perché i ricordi sono logorati dalle piogge, perché non restano che alcune gocce dell'eco di ciò che si è raccontato. E ha piovuto molto dal '37 ad oggi. Ma lui non l'ha mai raccontato a nessuno, nemmeno a Genevieve, durante i pomeriggi passati con lei a letto, mano nella mano, in attesa della morte.

        Il silenzio attaccato alle pareti. Il mutismo delle pietre si univa a quello del paese. Non si è mai parlato dei morti, e ai loro famigliari non sono mai stati offerti gesti di comprensione. Con l'arrivo del nuovo sindaco, c'era stata una ristrutturazione del personale, come si dice oggi. Avevano cacciato dal comune i rossi e chiunque avesse potuto esserlo. I posti rimasti liberi erano stati occupati dagli amici dei fascisti, o da qualche altro disgraziato. Floren non era stato cacciato. Quel ragazzo umile, che stava sempre solo, non sembrava potesse essere pericoloso. In paese tutti lo consideravano un tipo strano. Aveva perso la madre alla nascita e suo padre era andato a lavorare a Pamplona tre anni dopo. Era cresciuto con una zia e non c'erano motivi per considerarla una sovversiva. E così, quel sindaco dagli stivali luccicanti, gli aveva mantenuto il posto, come messo comunale. Faceva un po' di tutto, ma la sua occupazione preferita era curare le piante. Aiutare quegli esseri delicati a vivere, sentire tra le dita la freschezza di quei tronchi esili, vedere da vicino come crescevano i germogli. In tutta la zona della Erribera di Navarra fu il primo edificio comunale ad avere delle piante ai balconi. Il sindaco di prima gli aveva dato il permesso di collocare sui balconi e lungo i corridoi alcuni grandi vasi, e così aveva fatto Floren.

        Manex non sa cos'è la Guerra Civile. Gliel'hanno spiegata a scuola, ma queste cose si dimenticano, assieme al panino che ti mangi dopo l'esame. Gli piace ascoltarla raccontare dal nonno. Fa fatica ad immaginare suo nonno in guerra. La guerra significa morte e nemici, aerei e visi anneriti dalla cenere; è difficile associare suo nonno Floren a queste immagini. Lo colpisce sentire che fuggì dalla guerra, non riesce a immaginarsi quel nonno semplice e con il basco in testa come un delinquente o l'eroe di un film.

        — Aveva fatto molto caldo durante tutta la settimana, di notte le cicale frinivano. Sembrava uno scroscio di pioggia. Al mattino presto la radio diffuse la notizia del colpo di Stato iniziato in Marocco. Sai dov'è il Marocco?

        — In Africa, nel deserto — risponde alzando le spalle.

        — Il capo della Guardia Civil rivolse un appello al popolo, dicendo a tutti di stare tranquilli, che le forze di polizia erano dalla parte della Repubblica. Sai cos'è una Repubblica?

        — Più o meno.

        — Quanto più e quanto meno?

        Dalla finestra giunge profumo di costine arrosto e dietro di esso una donna con un grembiule giallo, À table!, grida come sanno fare solo coloro che sono diventati francesi, À manger!, il sussurro gli esce con forza da tutte le vene della gola. Manex e il nonno si siedono a tavola. La donna lentigginosa serve loro dell'insalata con un cucchiaio di plastica e una grande forchetta. Manex non osa guardare sua madre, preferisce immergersi nelle parole tranquillizzanti del nonno, sua madre è sempre un po' arrabbiata. Anche il nonno preferisce continuare a parlare con Manex, stare con lui è diventato improvvisamente un modo per stare con Manuel. La madre, da parte sua, preferisce che Manex e il nonno continuino con la loro conversazione privata, non vuole entrare in un terreno delicato, si sente a suo agio nella sua staticità imparziale.

        — E Serge? — chiede il nonno, vedendo che ci sono solo tre piatti.

        — Ha dovuto andare a Bordeaux per una riunione. Tornerà tardi.

        Ha risposto al vecchio senza guardarlo, mentre mette nel piatto di Manex le foglie di lattuga. Non ha voglia di dar retta alla domande sottintese di suo padre. Manex resta a guardare le foglie di lattuga, lontano mille miglia dalle parole di sua madre.

        Floren sente il cuore appesantito dopo la conversazione con suo nipote, e non ha fame. Non ha più la forza nemmeno per far fronte al malumore della figlia.

        — Serge lavora troppo, vero? — chiede Floren.

        — Bof.

        Bof. Questo significa: taci una buona volta, non ho voglia di parlare, lasciami in pace e mangia 'sta maledetta lattuga, cette merde de laitue, non ne posso più delle tue domande a doppio senso, mangia e taci, vecchio noioso, e continua a piantare alberi di mele e ad ascoltare la radio.

        A tavola si sente solo il rumore del motore della falciatrice del vicino. Il vicino sarà sicuramente in costume da bagno rosso e indosserà la maglietta delle feste di Baiona; dietro la macchina, le ciabatte più piccole dei piedi, lumache di mare che non stanno nel guscio. Le foglie delle piante sono immobili, piegate dal caldo. Non c'è un filo d'aria.

        — Stavo raccontando a Manex storie della guerra. Forse un giorno lo porterò al mio paese, prima che finiscano le vacanze. Che ne pensi?

        — Davvero? — alla figlia si è rasserenato il viso, forse perché stanno parlando di qualcosa che non la tocca. — E per quale ragione ci vuoi andare?

        — Non c'è una ragione precisa, è Manex che ci vuole andare ­ risponde il nonno con tono colpevole.

        Manex si è nascosto sotto la visiera. Quando ride gli si forma una fossetta ai lati del viso. Manex è due fossette e un cappellino. E dei grandi denti. E le lentiggini.

        — Chiederò a Serge di portarci a Donostia in macchina. Da lì prenderemo l'autobus — continua Floren.

        — A bon — la figlia.

        — Potremmo andarci anche domani stesso.

        — A bon — le stesse parole, lo stesso volume, ma le sopracciglia mezzo centimetro più alte, e le labbra chiuse in un circolo più stretto.

        — Domani non posso, c'è l'ultima lezione del corso di surf, ma dopodomani sì — dice Manex, guardano sua madre di sottecchi.

        — Va bene, d'accordo. Per me non ci sono problemi — e distribuisce le costine nei tre piatti, con movimenti lenti.

        Anche quella primavera faceva molto caldo. Aveva dovuto andare a cercare Manuel dietro la Casa Comunale, per giocare una partita di pelota. Il giorno prima, siccome faceva troppo caldo, invece di giocare una partita si erano sdraiati nell'erba, si erano tolti la camicia ed avevano guardato l'azzurro tiepido, sudati, ed erano rimasti a chiacchierare e a guardare il cielo. In paese Floren parlava soltanto con quel ragazzo, e con una cugina che era più giovane di lui. Quel pomeriggio che Manuel non sarebbe venuto, la temperatura era alta, e Floren era contento perché invece di giocare si sarebbero sdraiati nell'erba, a parlare, sudati, a guardare il cielo. Pazzo e felice. Manuel era un tipo così. E anche Floren voleva essere così. Era la ragione per cui aveva portato la fiaschetta e un pezzo di formaggio, ma quel pomeriggio Manuel non si era fatto vedere. E Floren si era arrabbiato, aveva pensato che fosse andato a qualche riunione segreta, com'era già successo altre volte. Floren per la prima volta nella sua vita si era sentito solo. Fino ad allora non aveva mai sentito la mancanza di qualcuno, così come non ne aveva mai notato la presenza. E la solitudine era una brutta faccenda, è come se ti rubassero qualcosa, come dormire su una pietra. Aveva aspettato Manuel tutto il pomeriggio con la sola compagnia del formaggio e della fiaschetta che aveva praticamente vuotata. Quando era tornato a casa con la bocca impastata dall'alcol, la zia gli aveva detto, quasi senza far vibrare le corde vocali, che avevano ucciso cinque giovani del paese. La zia non aveva cambiato espressione e aveva continuato a togliere il latte dalla pentola per mischiarlo con il riso e con i bastoncini di cannella.

        Valentin Sarnago: Coniglio. Adolfo Belzunze. Mari Garro: la cognata di Leonor. Luis: il figlio del macellaio. E Manuel Iroz: Manuel.

        Floren aveva sentito il sapore salato del sangue mischiarsi a quello del vino. E non riusciva a far altro che ripetere il nome di Manuel a bassa voce, finché la zia non aveva messo la cena in tavola. Il rumore dei piatti contro la tavola di legno aveva riportato Floren nel mondo dei vivi o, in quel caso, a quello dei morti.

        — Ma chèrie — dice alla figlia, noncurante delle leggi di pronuncia del francese — Vado a riposare. Questo caldo insopportabile mi ha messo sottosopra la pancia. Mon pot — rivolgendosi a Manex e, benché sembri stia per dire qualcosa, non aggiunge nient'altro.

        Madre e figlio restano ad addentare il melone, uno vicino all'altra, con un gigantesco sorriso verde sul viso, lo sguardo rivolto alla staccionata che circonda la casa.

        Floren si siede sul letto. Non ha nessuna intenzione di dormire. Sente un peso sul cuore e ha la gola gonfia. Quando Genevieve stava per morire aveva pensato tante volte di raccontarle tutto, parlarle di quei giorni passati con Manuel, ma non ce l'aveva fatta. Dopo la scomparsa della moglie, la morte gli aveva riempito la mente e non aveva più pensato a Manuel. Fino ad oggi. I morsi di Genevieve e di Manuel allo stomaco, gli odori del sangue e della malattia, gli occhi grigi di sua figlia dall'altra parte della tavola. E le paure del piccolo Manex.

        Il giorno dopo Floren si era recato a lavorare in Comune come sempre. Mentre saliva le scale aveva sentito il sindaco ridere a crepapelle. Quel giorno stava andando al piano di sopra, doveva aggiustare la scalinata e ne aveva approfittato per rimanere nascosto in soffitta, dove ogni tanto dava qualche martellata. In quel giovane non c'erano tracce della tranquillità di sempre, tutto era fuoco e odio. Verso mezzogiorno aveva visto il sindaco e il segretario andare a mangiare qualcosa al solito bar e a Floren si erano torte di nuovo le budella.

        — Come va la vita? — aveva detto il sindaco, muovendo il muso unto come un animale selvatico.

        Aveva guardato lo stinco di maiale nel piatto, infilzato nella forchetta, coperto di salsa scura. Il segretario invece aveva davanti a sé due uova e un pezzo di salsiccia, il tovagliolo annodato al collo.

        — Ti ha mangiato la lingua il gatto?

        — Buon giorno, signor sindaco — e nel pronunciare quelle parole aveva capito che si sarebbe vendicato.

        Bussano alla porta. Floren disfa il letto e si sdraia, facendo finta di essersi appena svegliato. E' sua figlia.

        — Ci stiamo separando. Io e Serge ci separeremo. Ha preso un appartamento a Bidart. Il mese prossimo se ne andrà da qui. Voilà, questo è tutto. E non ho voglia di parlarne. Per favore, non fare domande.

        Ha pronunciato le parole senza togliere la mano dalla maniglia, rimanendo in corridoio, senza mettere piede nella stanza di suo padre. Floren è seduto sul letto, non sa come comportarsi, se fare una faccia seria o contenta.

        — Boh — osa.

        — E' una decisione presa di comune accordo. Uno di questi giorni lo dirò anche a Manex, e voilà — ha mosso le mani come se fosse arrabbiata. — Vi ho lasciato il pesce per stasera. Io cenerò a casa di Magali. Dovete solo metterlo nel forno e in venti minuti è pronto.

        E subito dopo si avvia giù per le scale lasciando nella stanza di Floren solo il rumore dei tacchi sul legno.

        Si rende conto di essere impaziente di andare con suo nipote al paese, da tempo non sentiva in corpo un desiderio così forte. Aveva voluto credere che quella faccenda di Manuel fosse un cosa da ragazzi, di poca importanza, ma non è così. Come nei film, adesso vorrebbe vedere le fotografie, dopo sessantatré anni, ma non ha fotografie. Per un periodo aveva conservato le lettere della zia, alcune di sua cugina, una pallina di pelle e una piccola medaglia della Repubblica che gli aveva regalato Manuel, ma adesso non ha più nemmeno quella. Aveva tenuto quegli oggetti in una valigetta regalatagli dal Crédit Agricole. Adesso nella valigetta del Crédit Agricol ci tiene le lettere che aveva mandato a Genevieve da Parigi, quelle che Genevieve aveva mandato a lui da Ziburu, uno dei primi disegni di Manex e la fotografia delle nozze dei suoi genitori, ma tutto ciò non lo porta molto lontano nei ricordi, non tocca l'animo di allora, è come stringere il nulla nel pugno. Il ricordo di Manuel è l'unico legame vero che ha con il paese, l'unico che gli riporta l'odore della terra di quel posto. E per avvicinarsi ad esso non ha altra strada che scavare nella memoria.

        Floren vuole ricordare il giorno in cui pensò alla vendetta. Sa che fu poco dopo l'uccisione di Manuel, ma non ricorda esattamente quando. Aveva chiesto a sua cugina di portargli delle sementi da Pamplona. Aveva piantato le petunie nell'orto di casa ed aveva aspettato finché non erano fiorite. Era stato un modo per assaporare meglio la vendetta: andava nell'orto tutti i giorni, a curare i germogli appena spuntati dalla terra, ad innaffiarli, ad osservare come si muovevano in grembo al vento. Dopo un po' si erano formati dei boccioli colorati, delle creature delicate, un po' pelose, esseri assolutamente sconosciuti a Floren. Poi i boccioli si erano aperti fino a prendere la forma di campanelle. E a Floren era sembrato uno spettacolo meraviglioso. Il giorno in cui i fiori si aprirono del tutto, portò la terra con una carriola. Rivede se stesso mentre prepara la terra nei vasi del balcone del municipio. Terra fresca e morbida.

        — Come va la vita? — gli aveva chiesto il segretario, con l'aspetto minaccioso che gli conferivano i suoi stivali luccicanti.

        — Pensavo di decorare il balcone per il giorno della Vergine.

        Il segretario era in compagnia di un militare che Floren non conosceva e, dopo alcune parole pronunciate da quest'ultimo, si erano allontanati entrambi ridendo. Al loro passo gli stivali di cuoio sollevavano la polvere da terra. Floren aveva guardato allontanarsi i due uomini avvolti in una nuvola e aveva stretto nei pugni la terra che aveva in mano fino a sentire il dolore delle pietruzze sulla pelle.

        Manex è sceso a far colazione con il cappellino in testa. Ha uno zaino troppo grande in spalla e questo accentua ancora di più la sua magrezza. Floren ha tolto dal forno a microonde due bicchieri di latte.

        — Non ti togli lo zaino per fare colazione? Sembri una tartaruga — gli dice il nonno.

        Manex gonfia le guance e con le mani imita il movimento di una tartaruga che nuota. Nonno e nipote bevono latte e cacao e mangiano pane tostato con marmellata di mirtillo rosso. Floren praticamente non ha dormito per tutta la notte, inquieto. È da più tempo di quanto gli sembri che non torna in paese, e ha più voglia di tornatci di quel che pensa. Ancor prima di aver messo i bicchieri nel lavello, sentono il clacson della macchina di Serge ed escono da casa. Manex saluta sua madre con un gesto; li sta guardando dalla finestra della sua camera, con una tazza in mano, indossa la tuta per andare a correre. Anche Floren la saluta e salgono sulla macchina già in moto.

        — Cosa ti è successo, come mai ti è venuta voglia di tornare là proprio adesso? Niente in contrario, non credere, ma è strano, no? Dopo tanti anni tornare là così, all'improvviso.

        Serge guida veloce. Grida per coprire il gracchiare della radio mal sintonizzata. Vicino a lui, Manex sta giocando con il Game Boy.

        — Voglio far vedere a Manex il paese dove sono nato, ci tengo — risponde Floren dal sedile posteriore.

        — A bon? — e affettuosamente dà un colpetto complice a Manex sul collo.

        Il ragazzino non alza gli occhi dal display. Si sono lasciati alle spalle i campi verdi e le mucche dagli occhi umani, le case bianche e rosse sul ciglio della strada. Arrivati a Donostia, Serge li lascia alla stazione degli autobus.

        — Alle otto in punto sarò di nuovo qui. Comportatevi bene — gli dice sovrastando con la sua voce il rumore della radio e dà un altro colpetto a Manex sulla testa.

        Floren e Manex, rimasti soli, si sentono liberi. Acquistano i biglietti e salgono sull'autobus.

        — Hai pensato a quello di cui abbiamo parlato?

        — Un po'.

        — E allora?

        — Ma, così... — Manex preme i tasti di gomma del Game Boy spento e abbassa lo sguardo.

        — Ma, così... cosa? — chiede il nonno facendo finta di arrabbiarsi.

        — Ma, che hai ragione.

        — Sono sicuro che non è così grave. Avete forse ucciso un professore e l'avete seppellito in giardino? E' così?

        — No — sorridendo.

        — State cercando di uccidere qualcuno?

        — No!

        — Hai venduto l'anello nuziale di tua madre per comprare la droga?

        — No!

        — Allora puoi stare tranquillo, anche a tua madre non sembrerà così grave.

        E ha continuato per un momento a schiacciare i tasti. Poi si è addormentato, con il berretto sugli occhi, accovacciato sulle gambe del nonno. Floren è attento, guarda dal finestrino, non vuole perdere nemmeno un secondo di questa giornata. Sta facendo un viaggio all'indietro nella sua vita, verso il passato, tenendo suo nipote per mano. Mentre il paesaggio ingiallisce, la memoria di Floren procede più spedita. Arrivano dopo due ore. Se non fosse per la chiesa che ancora si vede dalla strada, non avrebbe riconosciuto il suo paese. Pensa che deve svegliare Manex, ma prolunga il momento, è contento di essere solo. Ha notato un tremore al sesso quando sono scesi dall'autobus, anche da giovane gli succedeva qualcosa del genere, per via del nervosismo. Ha tolto a Manex il berretto dal viso e al suo posto si è posato il sole. Manex si strofina gli occhi e, le labbra bagnate di saliva, chiede:

        — Dove siamo?

        — Al mio paese — dice, e improvvisamente si sente solo.

        Dopo Manuel, Floren non aveva amato nessun altro uomo. Prima di lui sì. A 14 o 15 anni, il figlio del venditore di latte, ma non ricorda il suo nome. Si amavano tra le mucche, nella stalla, sopra la paglia che puzzava di piscio, in fretta. E poi bevevano il latte tiepido dalle mammelle, anche quello in fretta. Aveva dimenticato anche questo, fino ad oggi. Ma con Manuel era diverso. Erano amici. O forse allora la cosa più importante era che sarebbero stati amici. Manuel fu il suo ultimo uomo. Di lì a poco, lo stesso anno in cui se n'era andato dal paese, a Ziburu aveva conosciuto Genevieve e di lì a poco si erano sposati. Di lì a poco era nata la loro figlia e di lì a poco Pedro, che vive a Akize. E di lì a poco, oggi.

        In quelli che una volta erano campi, adesso hanno piantato supermercati e benzinai. Palazzi dal disegno geometrico rompono l'orizzonte. Dove c'era una cappella hanno costruito un ambulatorio e dove c'era la sua casa adesso passa un larga strada.

        — Io vivevo qui, Manex.

        — Sulla strada?

        Ricorda l'accento della gente, il modo di pronunciare le parole spagnole, così unico. Sente il bisogno di parlare con qualcuno, in spagnolo. A Miarritz parla in spagnolo con pochissime persone, con un amico di Behobia e con altri due, ma non lo spagnolo di quando era giovane. Vuole parlare con qualcuno della sua età, vuole ascoltare quel modo dolce di accorciare i verbi, sentire quella pronuncia toccante. Manex, con il viso ancora assonnato, cerca di imitare il modo di camminare del nonno, le mani dietro la schiena, la fronte corrugata, un berretto invece del basco, si assomigliano.

        Quando arrivano alla piazza del comune si fermano nel mezzo.

        — Io lavoravo qui. Non è cambiato molto. Sono stato io a mettere quei vasi sui balconi, lo sapevi? Questo fu il primo paese della Erribera ad avere i fiori ai balconi del comune.

        Quella notte se n'era andato dal paese, per sempre, senza guardare indietro. Fino ad oggi. In una coperta aveva messo due fotografie, un pezzo di pane, del cioccolato, un cono di formaggio, una camicia, due paia di calze e due di mutande e, dentro i calzini, un po' di denaro.

        Lungo il viaggio aveva pianto, per tutte le cose che non aveva lasciato dietro di sé. Dopo aver camminato tutto il giorno era arrivato a Pamplona. Era la seconda volta che andava in città. Gli sembrò che ci fosse troppa gente. Quando vicino a lui erano passati dei militari gli si era fermata la respirazione, aveva pensato che sapessero e che l'avrebbero fucilato. Ma i militari si erano allontanati con il rumore dei loro stivali e Floren era rimasto a fissare le sue umili scarpe piene di polvere, ancora per un momento. Dopo due giorni aveva varcato la frontiera e aveva preso alloggio a Ziburu. Lì aveva conosciuto Genevieve e di lì a poco si erano sposati. Di lì a poco dopo era nata la loro figlia e di lì a poco Pedro, che vive ad Akize. Di lì a poco sua figlia si era sposata con Serge ed era nato Manex.

        E di lì a poco, oggi.

        Floren si ferma con Manex sotto i portici di fronte al comune e ricorda quella notte. Adesso nei vasi ci sono dei pini nani e appeso al balcone uno striscione su cui si legge Pace.

        — Stai piangendo? — gli chiede Manex.

        — Perché mai dovrei piangere?

        — Forse perché sei diventato triste nel tornare al tuo paese.

        — Triste? Sono contento, invece!

        — Però stai piangendo — gli dice il bambino, con espressione da detective.

        — Come dicono da queste parti, sei peggio di una zecca attaccata alle palle — gli dice Floren, ma Manex non sa cosa significa zecca e nemmeno palle.

        Quando i fiori furono completamente sbocciati, li aveva tolti dall'orto e li aveva adagiati su una carriola piena di terra, come fossero bambini. Aveva dovuto fare tre viaggi per portare tutti i fiori dall'orto fino al comune, di notte, ed aveva avuto paura di svegliare la gente con il cigolio della carriola mentre attraversava quel paese di pietra più silenzioso che mai. Era una notte tiepida e luminosa. Aveva preparato la terra nei vasi dei balconi e ci aveva piantato le petunie, dei colori che piacevano a Manuel e agli altri: prima quelle viola, poi quelle gialle e infine quelle rosse. Molte. Quella notte la luna sembrava una forma di formaggio o forse una donna grassa che sta ridendo. Non c'era nessuno per strada. Poi Floren si era fermato sotto i portici della piazza del comune e aveva acceso una sigaretta. Lo spettacolo che poteva ammirare da lì era stupendo. La bandiera repubblicana appesa ai balconi del comune, bagnata dal latte della luna, i colori della vendetta, i colori delle grida, cullati dal vento tiepido. Era la prima volta che si sentiva integro da quando gli avevano rubato Manuel, nonostante si sentisse solo.

        Con un colpetto sul collo di Manex gli dice:

        — Andiamo, dobbiamo vedere molte cose.

        Si allontanano, entrambi con le mani dietro la schiena, a piccoli passi, fino al tabaccaio vicino al comune.

        — Tu sei Perico? — chiede affettuosamente all'anziano che, dietro vetrinette dalle pareti spesse e sporche, vende frutta secca e sigarette. — Ti ricordi di me?

        L'uomo con gli occhiali muove lo stuzzicadenti che tiene tra le labbra, ma non gli risponde.

        — Sai chi sono io? Sono Floren Ainzua, il nipote della Paca, quella delle uova. Ti ricordi?

        L'uomo si toglie gli occhiali e li pulisce con un pezzo della carta che usa per avvolgere le caramelle. Si ricorda di quella donna che vendeva le uova, che aveva un nipote silenzioso e strano che era scomparso da giovane, i ricordi iniziano a riaffiorare.

        — Certo che mi ricordo — il venditore di sigarette gli allunga la mano dal finestrino veloce e timoroso, come se stesse facendo qualcosa di proibito. — Come ti va la vita?

        Floren gliela stringe forte e gli mostra i denti ancora forti.

        — Guarda, questo è mio nipote — gli dice appoggiando la mano color della terra sulla testa di Manex. E, prima di continuare, allunga lo sguardo verso il balcone del comune e aggiunge: — Parla solo francese e basco.

 

 

© Eider Rodriguez
© Traduzione: Roberta Gozzi


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