Beste hizkuntzetako lanen zerrenda

  Traduzione: Roberta Gozzi

 

 

 

Capitolo 9

 

        La mia mente tornò di nuovo alla primavera del 1937. Ai giorni della distruzione di Gernika.

        La notizia del bombardamento arrivò durante la notte e, per lo meno io, non ne avrei saputo niente fino al giorno successivo se non fosse stato per il nostro ragazzo dell'hotel Torrontegi. Infatti quella notte io ero all'hotel. Aspettavo Elena.

        Ero arrivato verso le otto e avevo deciso di cenare. Nel ristorante c'era molta gente. La maggior parte dei tavoli erano occupati dai franchisti. Conoscevamo tutti, sapevamo chi erano quei figli di cani, ma nonostante ciò non li affrontavamo.

        Mi sedetti ad uno dei due tavoli ancora liberi. Mangiai un piatto di fagioli e ordinai un caffè; lo stavo bevendo quando udii il saluto in inglese di George Steer.

        — Salve!

        Lo invitai a sedersi, ma lui rifiutò perché non era solo. Lo accompagnavano Noel Monks e l'uomo che aveva salvato Bilbao dalla morte per fame, il capitano Roberts del Seven Sea Spray, con sua figlia Fifi. Sebbene il nome sembrasse quello di una bambina, il tesoro di papà aveva già oltrepassato i vent'anni.

        — Salve — mi salutò la giovane in basco.

        Se qualcuno meritava di cenare a Bilbao, costui era il capitano Roberts. Il 20 di aprile, alle nove del mattino, aveva attraccato nel porto di Bilbao con la sua nave, nelle cui stive trasportava 3.600 tonnellate di viveri provenienti da Valencia. C'erano sale, vino, olio, prosciutto, miele, farina, fagioli, ceci e altri alimenti il cui solo nome suonava come musica celestiale.

        Bevvi il caffè in un sorso, mi alzai e gli porsi la mano. Poi mi scusai e mi ritirai nella suite. Pensavo che Elena sarebbe potuta arrivare da un momento all'altro. Ma prima che lei arrivasse apparve il ragazzo della reception.

        Bussò alla porta. Bruscamente.

        — Chi diamine è? — chiesi arrabbiato; quella grossolanità non poteva provenire da Elena.

        — Hanno bombardato Gernika — riconobbi la voce del ragazzo.

        Non ci fu bisogno di dire nient'altro. Accesi la radio. Le notizie erano terribili. Scrissi un biglietto per Elena e lo consegnai al portiere. Nel messaggio le dicevo solo che avevano bisogno di me al Servizio, che il ragazzo le avrebbe raccontato cos'era successo e le raccomandavo di bruciare il biglietto dopo averlo letto. Nemmeno una parola d'amore. Fu un errore da parte mia.

        Scesi le scale. Nel passare vicino alla sala da pranzo diedi un'occhiata. Quegli schifosi fascisti erano lì! E anche il capitano Roberts e Fifì. Fu lui a dirmi che George e Monks se n'erano andati. Quando arrivai alla hall, Noel Monks e George Steer erano appena partiti per Gernika.

        — E' venuto a prenderli il signor Mendiguren — mi disse il ragazzo.

        Capii il messaggio. Bruno Mendiguren era l'incaricato del governo basco per le relazioni con la stampa ed era chiaro che in quelle circostanze non aveva bisogno di me. Decisi che avrei aspettato nella sede della Presidenza, e così mi diressi all'hotel Carlton.

        Le notizie che i giornalisti portavano da Gernika erano tali da far perdere la testa. Qualcosa di veramente incredibile.

        Per giornalisti e fotografi il lavoro a Gernika era facile. Non c'era bisogno di nessuna tecnica speciale per immortalare ciò che era accaduto. Era sufficiente puntare l'obiettivo della macchina fotografia su un punto qualsiasi e scattare, clic. E per sapere cos'era successo, la stessa cosa: era sufficiente chiedere ai sopravvissuti. L'inferno! rispondevano terrorizzati.

        "A Gernika, per scattare una fotografia atroce, non dovevi pensare a cosa mettere a fuoco; tutto era atroce", così mi disse qualche anno dopo Philby — esclamai.

        — Philby? Quale Philby? — il visitatore era sconcertato.

        Mi avvicinai alla libreria e presi uno dei libri.

        — Legga questo — gli dissi mentre gli porgevo la biografia di Kim Philby. — Kim Philby, agente sovietico infiltrato nei servizi segreti britannici, era a Gernika la notte che entrarono i fascisti, la notte del 29.

        Gli raccontai brevemente la storia.

        Il primo passo dell'amico Kim per entrare nei servizi segreti britannici era stato guadagnarsi la fama di uomo di destra, e cosa c'era di meglio che venire come giornalista per coprire la Guerra di Spagna dalla parte dei fascisti? Ed è quello che fece. Le cronache che scriveva erano così chiaramente compiacenti con gli insorti che portarono addirittura a qualche sospetto. Ma i fascisti non se ne accorsero e, quando la guerra finì, Kim Philby si era ormai fatto una nota fama di uomo di destra, cosa che gli permise di infiltrarsi nei servizi segreti britannici. Ti rendi conto? Franco in persona lo decorò con una di quelle medaglie all'onore.

        — Per cui la famosa spia sovietica Kim Philby si trovava a Gernika! — si sorprese il visitatore.

        Mi resi conto che stava per chiedermi di continuare con quella storia, ma decisi di lasciare l'argomento per un'altra occasione, perché in realtà ci stavamo allontanando troppo dal caso Mallona e dal racconto di altre cose avvenute in paese.

        — Anche altri giornalisti andarono a Gernika durante i giorni successivi — continuai, come se Philby fosse davvero un giornalista. — Con uno di loro si recò a Gernika l'amico Lauaxeta. E non fece ritorno. Lo arrestarono.

        Nel pronunciare il suo nome mi tornò alla mente l'immagine di Lauaxeta, quell'uomo ottimista che avevo visto salire le scale della stazione, prigioniero.

        Ebbi la sensazione che l'arresto di Lauaxeta fosse un esempio della direzione che stava prendendo la guerra. Tutto ormai era perso. Il giorno 29 era caduta Lekeitio e quello stesso giorno i fascisti entrarono a Gernika.

        Il compito che dovemmo svolgere durante quei giorni fu assai doloroso. Dovevamo scoprire chi cercava di abbandonare il fronte e comunicarlo ai nostri superiori.

        — Non abbiamo bisogno di disertori. Per lo meno vivi, no! — esclamai ad alta voce.

        E allora mi resi conto che già da un momento, dimenticando la presenza del visitatore, stavo parlando con me stesso. Agitato, avevo perso il filo del racconto.

        — Brutta cosa diventare vecchi — ricordo che commentai.

        Il visitatore capì che quella era una richiesta di aiuto.

        — Dopo aver preso Gernika, le Frecce Nere si diressero a Bilbao, assieme ai marocchini. Lungo la costa — mi disse lui.

        — Le nostre forze si prepararono per far fronte ai fascisti — continuai, riprendendo il filo del discorso. — A tale scopo formarono delle difese in vari punti e venne rafforzata quella collocata sul retro della chiesa. E così, all'imbrunire del giorno 29, un battaglione del Euzko Indarra, l'esercito basco, si diresse verso la chiesa.

        — Qui c'è la versione dei fatti del parroco di allora — mi interruppe il visitatore.

        "Fatti? Versioni?" Stavo di nuovo parlando con me stesso.

        Rimasi col dubbio di non aver capito bene la seconda parola. Ma non intendevo abboccare a quell'esca. Ciò che mi interessava era il documento che mi stava mostrando.

        Da quanto diceva il documento, quella sera del 29 alcuni uomini delle forze del Euzko Indarra si presentarono dal parroco e gli chiesero le chiavi della sacrestia. Pare che la loro intenzione fosse sistemare lì una mitragliatrice.

        In quel momento l'avanguardia delle Frecce Nere si avvicinava via terra lungo la strada dall'altra parte della foce del fiume. Avrebbero cercato di arrivare fino a noi risalendo il fiume? Proprio con l'obiettivo di impedirlo, volevano sistemare in quel luogo una mitragliatrice puntata in quella direzione. L'idea, d'altro canto, non era nuova, e ricordai il giorno in cui mi ero incontrato in paese con il Nostro Uomo.

        Ma non c'era già una mitragliatrice piazzata in sacrestia? In ogni caso, il parroco aveva dato la chiave ai soldati. Tuttavia, il giorno dopo, quando arrivò il sacerdote, lì non c'era nessuno.

        — Quindi — dissi — il motivo per cui avevano chiesto le chiavi della sacrestia non era introdurvi una mitragliatrice, ma piuttosto poter scappare senza forzare la porta della chiesa.

        — E' possibile — disse il visitatore. — O forse avevano tolto la mitragliatrice che Lei aveva visto prima e poi erano tornati a sistemarla nella sabbia.

        — Sì, nella sabbia — risposi, rivolgendo di nuovo lo sguardo al documento.

        Il racconto del sacerdote era davvero interessante. Diceva che i soldati del Euzko Indarra avevano rubato all'interno della chiesa.

        — Mallona non gli avrebbe mai permesso di rubare dentro la chiesa — affermò il visitatore leggendomi nel pensiero.

        — Ma allora Mallona era già scappato — dissi.

        E gli raccontai che il paese era stato evacuato via mare. Il sindaco se n'era andato su un peschereccio — il cui nome era Aintzatasuna, Gloria — con molti altri. Fino a Santurtzi. Il mare in quel momento era la porta dell'inferno.

        In paese erano rimasti solo i giovani. E non tutti. Anche qualche ragazzo scappò. Alla guerra!

        — E il Vostro Uomo? Che fece quell'uomo con fama di fascista? — mi chiese il visitatore.

        — Il Nostro Uomo aveva ricevuto ordine di rimanere in paese. Credevamo che proprio grazie alla sua fama di fascista potesse esserci utile. Nel caso in cui il paese fosse caduto, chiaro.

        — Avevate forse dei dubbi? — disse provocatoriamente il visitatore.

        Non gli risposi. Dubbi, io? Doveva chiederlo a quelli che nella notte fra il 27 e il 28 avevano esumato il cadavere di Sabino Arana [1] dal cimitero di Sukarrieta per metterlo al sicuro in un altro posto.

        Ma quelli erano morti.

        Noi sapevano che prima o poi avremmo dovuto portar via da lì il cadavere di Sabino Arana. Ma non ordinarono a noi di farlo. Sarebbero stati suo fratello Luis e i dirigenti del partito a toccare il corpo. Senza dimenticare i tre disgraziati che dovettero lavorare di pala per toglierlo dalla tomba. Ma anche questa era un'altra storia.

        Ciò che contava era che Mallona non si trovava in paese per ordinare che nessuno prendesse niente dalla chiesa. E infatti qualcosa quei soldati si portarono via. Io lo sapevo, ma la dichiarazione del parroco era sorprendente.

        In base alle sue parole, quelli del Euzko Indarra avevano trascorso lì la notte del 29 aprile. La stessa notte in cui i fascisti erano entrati a Gernika. La notte in cui arrestarono Lauaxeta.

        "Il mattino successivo — il sacerdote nel suo scritto si riferiva al mattino del giorno 30 — quando mi recai in chiesa, verso le cinque e mezza del mattino, la trovai vuota e vidi che la porta della cassaforte era stata forzata."

        E nella cassaforte presumibilmente forzata ci teneva tre ostensori, quattro calici e due pissidi.

        — Però, tre ostensori! — ricordai la messa del Corpus Domini — avevano rubato tre di quegli impressionanti pezzi che utilizzavano per mostrare l'ostia ai fedeli. E uno era di gran valore, perché era d'oro, così come uno dei calici. Interessante — commentai.

        — Proprio perché erano di gran valore li rubarono — mi interruppe il visitatore. — perché i fascisti avevano bisogno di oro, cosa avranno pensato i soldati nazionalisti? Se avessero lasciato lì quegli oggetti, i fascisti li avrebbero utilizzati per comprare armi. Non è forse così?

        Assentì con un cenno del capo. Quello che diceva dell'oro era vero. Prova di ciò fu quel che i fascisti fecero quando entrarono in paese.

        Una delle prime cose che i fascisti fecero quando entrarono in paese fu cercare l'oro — mi disse il visitatore.

        — E allora?

        — Allora riuscirono a mettere assieme quattro chili d'oro tra monete e gioielli. Inoltre raccolsero anche circa tremila pesetas. Sia l'oro sia il denaro furono consegnati al Governo Civile di Bilbao a luglio, il giorno .... — non finì la frase.

        — Sapevo che avevano preso denaro e oro, ma non una tale quantità! — lo interruppi. — Ma questo accadde a luglio e in quel momento Mallona era in attesa che lo fucilassero.

        Mi concentrai sul documento con le dichiarazioni del sacerdote. Non senza qualche sospetto nei confronti del visitatore. Mi chiedevo da dove avesse preso quei dati così precisi. Ma quello che volevo sapere era la verità, o la versione, del sacerdote.

        Quello che il sacerdote raccontava non era cosa da poco. In base alle sue parole quelli del Euzko Indarra avevano forzato anche il tabernacolo e avevano fatto sparire le ostie consacrate. In tutto furono successivamente recuperati a Bilbao quattro pissidi e cinque calici. Il sacerdote dichiarava di non sapere che ne fosse stato delle ostie consacrate — erano le parole del documento.

        — Che stupido! — la collera ebbe la meglio su di me.

        La mia rabbia lasciò stupefatto il visitatore. Lessi nel suo sguardo che non capiva la ragione della mia ira.

        — Ha letto questo? Quell'idiota si chiede che ne sarà stato delle ostie consacrate! — esclamai.

        Il visitatore accese una sigaretta.

        — E cosa ne fu? — mi chiese con espressione igenua.

        — Cosa? — non potevo crederci. — Vediamo: non avevamo iniziato questa storia perché in chiesa erano stati trovati i documenti del cappellano Iriondo?

        — Sì, e allora?

        — Allora quella notte anche Iriondo era in chiesa, altrimenti quando avrebbe potuto nascondere quei documenti sotto l'altare? Quindi era lì e aveva utilizzato le ostie consacrate per dare la comunione — spiegai.

        — C'erano più ostie che soldati, e sicuramente non tutti i soldati erano credenti — disse il visitatore, dimostrando così di seguire il mio ragionamento.

        — E allora? — chiesi con espressione di sfida — qual è la soluzione del mistero?

        — Che tutti quelli che fecero la comunione presero più di un'ostia — disse lui allegramente.

        — Ho l'impressione che lei non frequenti molto le chiese — scherzai provocatoriamente. — O i soldati presero più di una ostia a persona, oppure fu lo stesso Iriondo a prendere tutte quelle che erano avanzate, nel timore che i fascisti profanassero il tabernacolo.

        — Ma non erano cattolici?

        — Non tutti. Come ha appena detto c'erano anche dei marocchini tra coloro che attaccarono il paese — gli dissi. — Si diffuse la voce che la famosa Squadra dei Regolari delle isole Alhucemas costituisse l'avanguardia.

        — Cioè i marocchini — concluse lui.

        Finalmente aveva capito il mio messaggio.

        — Non dimentichi, inoltre, che Iriondo poteva temere anche i danni che le bombe e gli spari avrebbero potuto provocare al tabernacolo — gli dissi, lanciandogli poi una sfida — O forse non ha guardato bene tra i documenti che Iriondo lasciò sotto l'altare?

        Estrassi uno dei fogli che il visitatore mi aveva lasciato la prima volta che era venuto da me.

        — Ecco uno dei documenti che Iriondo lasciò nascosti nell'altare — gli dissi, mentre glielo mostravo.

        Il documento in questione era datato 11 dicembre 1936 ed era stato diffuso dal Dipartimento dei Cappellani del Comando Superiore di Sanità Militare. In base a quando diceva, si autorizzava Don Manuel Iriondo Aranburu, cappellano del Battaglione Saseta, a requisire nella Parrocchia di Santa Maria di Gernika un calice per destinarlo al servizio spirituale di detto battaglione.

        — Uno che aveva chiesto il permesso di utilizzare uno dei calici della parrocchia di Gernika non avrebbe consentito che si portassero via quelli del paese, non crede?

        — No, a meno che non ci fosse qualche altra ragione di molto peso.

        — A proposito di questo, — commentai come fosse una cosa secondaria — cosa sappiamo del sacerdote che fece queste dichiarazioni? Non ha mai pensato che in bocca ad un sacerdote risulta un po' ridicola questa faccenda delle ostie scomparse?

        Credo che il visitatore colse il mio tono di sfida. Si mise in piedi ed ebbe bisogno di un po' di tempo per riprendere la parola.

        — Quello che bisogna chiarire — percepii il suo disagio — è se vicino alla chiesa ci furono una o due tombe. Questo bisogna chiarire!

        — Se vuole che l'aiuti a scoprire chi era lo Sconosciuto, volentieri — gli dissi — ma non mi ha ancora risposto. Perché il parroco del paese aveva dichiarato, e tra l'altro per iscritto, che erano scomparse le ostie e tutto il resto? E rispetto ai calici e agli ostensori, vennero ritrovati?

        Sapevo che i calici e gli ostensori, per lo meno alcuni, erano stati ritrovati. Ma volevo provocare il visitatore.

        — Il parroco del paese, così sembra, era un simpatizzante dei nazionalisti, ma nonostante ciò rimase in paese — il visitatore mi mostrò un altro documento, svelando così di avere più di una carta nascosta nella manica. — Siccome lui era innocente non gli avrebbero fatto del male, e tutto il resto.

        — Un altro uomo di buona fede, come Mallona — dissi mentre prendevo il foglio.

        — E poi, quando entrarono i fascisti, lo obbligarono a firmare quella sfilza di menzogne, come fecero anche con molti altri. — Il visitatore accennó chiaramente ad andarsene. — Firmare o consegnarsi, non aveva altra scelta.

 

[1] Fondatore del Partito Nazionalista Basco.

 

 

© Edorta Jimenez
© Traduzione: Roberta Gozzi


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