Beste hizkuntzetako lanen zerrenda

  Traduzione: Roberta Gozzi

 

 

 

Capitolo 8

 

        Nonostante il visitatore mi avesse obbligato a ricordare i sanguinosi giorni dell'inizio di maggio, le ali dei miei ricordi mi portarono ad eventi precedenti. Per l'esattezza all'aprile di quell'anno. Non si poteva capire ciò che era successo a maggio se non si avevano chiari gli avvenimenti di quell'aprile.

        I giorni successivi alla notte del 13 aprile passarono velocemente. Senza quasi renderci conto di quel che stava succedendo. Stavamo perdendo la guerra. E io ero confuso. Forse perché mi ero innamorato di Elena, o forse perché gli eventi stessi erano sconcertanti.

        Vedere Elena per me non era facile. Il mattino successivo a quella notte lei mi lasciò senza dirmi dove avrei potuto trovarla. Evidentemente se avessi iniziato a cercarla non sarebbe stato difficile rintracciarla, ma per farlo ci voleva tempo e il ritmo della guerra lasciava poco spazio alle questioni di cuore. L'urlo e il furore erano sempre più assordanti.

        Tuttavia riuscii a stare con Elena in diverse occasioni. Mi ricordo di una domenica, credo fosse il 17. Il giorno dopo avrebbero bombardato Bilbao.

        Mi ero recato all'Hotel Carlton perché la mia missione era interrogare i fascisti catturati dalle nostre forze.

        — Ehilà! — fu una vera sorpresa incontrare Elena all'entrata della sede del governo. La sorpresa fu ancora maggiore quando mi resi conto degli abiti che indossava. Portava la gonna e la giacchetta della divisa delle cameriere che lavoravano nella sede del governo. Ma per rendermene conto mi ci vollero vari secondi. Gli stessi di cui ebbi bisogno per smettere di guardarla negli occhi.

        — Non sei contenta di vedermi? — le chiesi.

        — Sì — rispose lei senza troppo entusiasmo. — Devo lavorare, ci vediamo in un altro momento. Ciao!

        Uscì svelta per strada, come se fosse il diavolo a portarsela via. Questo mi fece ricordare la sua vita e qualche altro dettaglio.

        — Quando ritorna, avvisami — dissi alla guardia sulla porta, indicando Elena. Seguii con lo sguardo la sua camminata e quando si perse in una delle strade dall'altra parte della piazza guardai verso la collina di Artxanda.

        Dicevano che su quella collina avevamo una barriera di ferro. Servirà a qualcosa? Il Servizio sapeva che c'erano molti infiltrati, troppi. Il nemico dimostrava di conoscere la maggior parte dei nostri piani non appena si lo metteva in atto. E le nostre autorità non avevano abbastanza palle per fucilare alcuni degli infiltrati e così spaventare anche gli altri.

        Irritato ma fiducioso, passai all'interno dell'elegante edifico del Carlton.

        Lì le ore si fecero molto lunghe, finché non mi chiamarono sulla linea interna.

        — La donna è arrivata — mi comunicò una voce.

        Riconobbi la guardia dell'entrata. Gli perdonai il tono confidenziale, soprattutto perché con lui avevo avuto fortuna, visto che da quando gli avevo affidato l'incarico era passato il tempo di un altro turno, lui aveva riposato e aveva ripreso servizio. Se Elena fosse tornata durante il turno dell'altra guardia non l'avrei saputo. Ma per fortuna invece lo venni a sapere, anche se non mi fu facile convincerla.

        Finii frettolosamente le faccende che stavo sbrigando e scesi. In realtà non avevo molto da fare perché avevo rallentato il lavoro proprio con la speranza che lei nel frattempo tornasse. Anche in questo la fortuna fu dalla mia parte. Quando arrivai sulla porta Elena era appena uscita, ma pioveva e si era fermata all'entrata in attesa che smettesse.

        Fermai un taxi.

        — Andiamo — le dissi, mentre aprivo la portiera del veicolo.

        — No — esclamò, ma le sue parole contraddicevano il brillare dei suoi occhi.

        Insistetti. E lei mi disse di nuovo di no. Il tassista voleva andarsene, non si poteva stazionare lì molto tempo. Con un gesto gli chiesi di aspettare, facendogli capire che io ero una persona importante. Mi credette.

        — Solo un caffè — le proposi.

        — Sono sposata — mi rispose Elena.

        — E allora?

        Salimmo sul taxi.

        — Al Caffè Boulevard — ordinai all'autista.

        Tuttavia quel che avevo in testa era l'hotel che si trovava vicino al Caffè Boulevard, il Torrontegi. Il portiere era uno dei nostri ragazzi, il suo compito consisteva nell'essere gli occhi e le orecchie del Servizio in quel luogo. Non mi avrebbe negato un favore. Di fatto, ci diede una delle suite migliori.

        Nemmeno Elena mi negò nulla. Come io a lei.

        Se ho avuto remore morali? Sì e no. Quando ci alzammo la mattina successiva c'era brutto tempo. Brutto per noi, voglio dire. Aveva smesso di piovere e il cielo era limpido. Erano le undici. I fascisti non ebbero dubbi e poco dopo ci bombardarono.

        La sirena del primo attacco suonò alle undici in punto. Io avevo appena lasciato andar via Elena. Senza chiederle dove fosse suo marito. Non era necessario spiegarlo, sicuramente era al fronte e chissà se la prossima volta che il postino avesse chiamato alla porta non sarebbe stato per comunicarle la notizia della sua morte.

        E benché non fosse così, chi era al riparo dal pericolo di morire fulminato da una bomba aerea?

        Un'ora dopo il primo attacco di mezzogiorno, erano di nuovo lì con fuoco e piombo. E ritornarono mezz'ora dopo. Non fui colpito per pura casualità.

        Come ho già detto, io e Elena ci separammo senza chiederci nulla. Lei se ne andò lungo la Gran Via e io verso la Piazza Nuova. Avevo bisogno di un caffè forte. Con qualche goccia di grappa.

        Entrai nel caffè Bilbao. Vi incontrai due vecchi conoscenti, Noel Monks e Lauaxeta. Parlavano un po' in francese e un po' in inglese e si distinguevano fra la poca gente che si trovava nel locale.

        — Mallarmé! — salutai scherzosamente Lauaxeta, mentre gli mettevo una mano sulla spalla.

        Monks mi guardò sorpreso.

        — Ecco qui Estepan Lauaxeta, poeta di pari grandezza rispetto al francese Estepan Mallarmé e che arriverà ancora più in alto — mi rivolsi in basco a Monks e gli tesi la mano.

        Estepan arrossì. Dovetti spiegare il significato della battuta al giornalista. Monks abbozzò un sorriso forzato.

        Eravamo obbligati a mostrare buon umore davanti agli stranieri. Soprattutto dopo i bombardamenti. Ordinai un caffè per me e un altro giro di quello che avevano preso per i miei due amici.

        — Ce ne stavamo andando — disse Lauaxeta.

        Ormai il cameriere gli aveva riempito di nuovo i bicchieri.

        — Dove andate? — chiesi.

        Veramente mi importava ben poco dove volessero andare. La mia mente era occupata da Elena, il mio stomaco dal bisogno di un caffè.

        — Alla stazione del treno di Mallona — disse Lauaxeta — Lì ci aspettano altri giornalisti per fare una specie di tour. Se non hai altro da fare, sai dove andare!

        Si trattava di un invito. In quel momento mi sembrò molto opportuno e quindi accettai.

        — Appena finito il caffè vi raggiungo.

        Chiesi di aggiungere un paio di gocce di grappa. Il caffè era troppo caldo e la correzione non lo intiepidì molto. Guardai Monks.

        "Sembra un tipo in gamba", pensai, incapace di intuire quale fosse il vero motivo per cui si trovava con noi.

        Giornalisti! Da tempo desideravo conoscere personalmente qualche giornalista straniero. "Questa è l'occasione per farlo", dissi tra me e me, ricordando che la maggior parte di loro si ritrovava all'hotel Torrontegi.

        Tra i corrispondenti stranieri ce n'erano alcuni che non erano dei tipi puliti. Così diceva il Servizio, evidentemente. Noel Monks, che alloggiava nel vicino hotel Arana, era stato nella zona franchista. Aveva avuto problemi e ostacoli da parte della censura, è vero. E allora? Anche George Steer era arrivato nella nostra zona dopo aver passato un po' di tempo con la parte franchista. Era diffidente rispetto alla nostra causa, ma poi aveva cambiato idea. Potevamo fidarci di lui? Sembrava di sì, tra l'altro anche grazie a uscite come quella che gli aveva organizzato Lauaxeta. Ma soprattutto grazie alla crudeltà che stavano dimostrando i fascisti. E, come se avessimo avuto bisogno di un ulteriore esempio di questo, suonò di nuovo la sirena d'allarme.

        Era l'una e mezza e si trattava del terzo bombardamento della giornata.

        I camerieri e tutti quelli che si trovavano nel caffè si diressero ai rifugi. Noi no.

        — Quando torniamo il caffè si sarà raffreddato — commentai.

        Sapevo che ci stavamo comportando contravvenendo le regole, e che l'infrazione era ancora più grave trovandosi lì un giornalista straniero. Però a me e a Lauaxeta questo poco importava. In ogni caso meno male che non ci muovemmo dalla piazza.

        Quel terzo attacco fu più breve dei precedenti. Forse perché apparvero i nostri caccia o forse, più probabilmente, perché erano rimasti senza bombe. Nel frattempo verificammo che alcune delle bombe erano cadute molto vicino a noi.

        Lungo la strada per la stazione vedemmo alcuni dei danni provocati dalle bombe.

        Un rifugio della via Iturribide, fabbricato da un abitante per la sua famiglia, era saltato in aria. Non so cosa fosse più doloroso, se le urla dei feriti o i corpi dei morti fatti a pezzi.

        Monks volle scattare qualche fotografia. Lauaxeta gli disse di no. Voleva arrivare il più presto possibile alla stazione. E lì ci separammo, il mio posto era aiutare i feriti.

        Quella fu non l'ultima, ma la penultima volta che vidi Estepan.

        Mentre saliva le scale della stazione vicino a Noel Monks girò la testa. Voleva rivolgermi un gesto di incoraggiamento ma gliene venne uno di dolore.

        "Ecco due belle teste" pensai; poi mi qualificai davanti al capo dei pompieri che si dirigevano al centro di quel caos.

        Quando fece buio ero distrutto. Il mio unico giorno libero avevo dovuto passarlo a sistemare resti umani dentro le bare.

        La sera chiamai Simbad. Per sapere di Elena. Tuttavia non ebbi il coraggio di chiederglielo direttamente e aspettai che fosse lui a parlare. Pieno di allegria mi confessò che era pazzo di Andone. E fu allora che ne approfittai e gli chiesi di Elena.

        — Una bella donna, vero? Stacci attento — mi disse.

        — Lo so che è sposata — risposi — ma domani mattina potrebbe essere vedova.

        — Non lo dicevo per questo — aggiunse Simbad.

        In quel momento non capii il significato di quello "Stacci attento!" Sono veramente uno stupido! Pensando che me lo dicesse per mettermi in guardia dalla stregoneria della bellezza di Elena, non prestai attenzione al suo avvertimento.

 

 

© Edorta Jimenez
© Traduzione: Roberta Gozzi


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